Relazioni

Le Relazioni implicano il confronto e spesso lo scontro di due modi di “funzionare” della mente.

Alla base della difficoltà c’è sempre una diversità di sesso, razza, ideologia, posizione sociale e generazionale, e a queste possiamo attribuire i relativi ruoli, come ad esempio:

  • marito e moglie
  • conviventi in un medesimo spazio ma di diversa razza, ideologia o religione
  • datore di lavoro e sottoposto
  • genitore e figlio o insegnante e allievo

Tutte queste coppie hanno in comune lo stesso “ostacolo”, una diversa visione del mondo con relativa modalità di interpretazione degli eventi che li colloca gli uni su un monte e gli altri su quello opposto.

Tanto per non cadere nella banale definizione degli uomini e donne che vengono da due pianeti diversi, è invece opportuno evidenziare la medesima provenienza di entrambi i protagonisti della coppia, mettendo al centro il fatto che si tratta di “esseri umani, in grado quindi di prescindere in taluni casi, dai propri ruoli e provenienze”.

Tutto sta nel porsi umilmente nella posizione di ascolto e comprensione, certi che in ognuno di noi si trovano molti elementi come fossero tasselli di un mosaico e che uno o più di essi sia simile al tassello di chi ho davanti e che questo mi permetterà  di aprire un varco di dialogo, pur sempre mantenendo la mia identità e il mio pensiero.  

  • Ed è  così che la moglie ed il marito mettono sul piatto della bilancia i propri sentimenti e si allenano a riconoscere le proprie modalità disfunzionali di dialogo trasformandole nel quotidiano in interazioni profonde e produttive per entrambi.
  • Amici, vicini e colleghi apprendono come gestire le distanze nei  loro punti fermi della vita aprendosi comunque ad un confronto ed una collaborazione, dove diversi punti di vista, producono un risultato migliore, ottenuto con il duro lavoro di chi ha messo in gioco se stesso scrollandosi dal comodo divano delle proprie convinzioni.
  • Datore di lavoro e sottoposto che imparano ad evitare di cadere nel triste tranello delle proiezioni (in cui l’uno rappresenta il papà cattivo che giudica e punisce e l’altro il figlio debole su cui scaricare le proprie frustrazioni ed incapacità.
  • Genitore e figlio ed insegnante ed allievo, stranamente posti nella stessa categoria perché di differenze, ma anche di analogie in questa pagina ci piace parlare…analogie che rendono i genitori e gli insegnanti, consapevoli, non soltanto dei loro bagagli esperenziali ed intellettuali, ma soprattutto in grado di riconoscere che i loro figli ed allievi non sono lo specchio delle loro ambizioni frustrate o incapacità, ma un importante occasione di dare un ulteriore senso al percorso fatto e  motivo di crescita  e  arricchimento reciproco.

 

Trauma

Per trauma non si intende soltanto un evento particolarmente importante (come una minaccia all’integrità fisica, propria o di altri, o all’identità psicologica), ma anche una situazione stressante che perdura nel tempo (per esempio esperienze di trascuratezza o mancanza di rispetto e accudimento) e che influiscono sul senso di valore dell’individuo, sulla sua sicurezza, sull’autostima e sul suo senso di efficacia personale.

Questi eventi producono reazioni emotive e corporee importanti, che non sempre il cervello riesce ad elaborare.

Quando l’elaborazione del trauma non avviene spontaneamente, le emozioni e le sensazioni corporee si bloccano e costituiscono reti neurali disfunzionali che compromettono il normale funzionamento psichico ed il benessere della persona.

L’ impatto del trauma è soggettivo.

A seconda delle caratteristiche di personalità, dell’ambiente circostante, della struttura emotiva e cognitiva di ogni persona un evento può essere più o meno traumatico.

Il trauma psicologico è molto frequente e costituisce uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi psicologici, in particolare di disturbi d’ansia e di disturbo post-traumatico da stress.

La risposta all’esperienza traumatica è prima di tutto emotivo-corporea.

Nel caso di un trauma psicologico irrisolto si crea nel cervello una stasi neurobiologica che impedisce l’elaborazione delle emozioni e delle sensazioni corporee le quali, permanendo nel cervello oltre la conclusione dell’esperienza, sono pronte a riattivarsi in situazioni simili a quella traumatica.

Anche se la persona si trova in condizioni di sicurezza può accadere infatti che essa sperimenti le stesse emozioni e sensazioni sgradevoli che aveva provato nel momento in cui è avvenuto il trauma. Per esempio, chi ha avuto un incidente d’auto può continuare a sentirsi a disagio e teso in macchina, anche se consapevole che, da anni, guida senza problemi.

Si definisce trauma da adattamento quel quadro neuropsicofisiologico che la persona configura nel caso in cui è sottoposta ad uno stress prolungato che mima i medesimi effetti a livello sintomatologico di ciò che definiamo trauma maggiore. 

Esiste un trauma definito di Neglect (incuria), che ha luogo in quelle situazioni di attaccamento disfunzionale in cui il caregiver risulta assente fisicamente o psicologicamente e non risponde ai bisogni emotivi, vitali e di cura del bambino.

Le differenti tipologie di trauma possono essere trattate in modo risolutivo con un approccio specifico a seconda dell’evento/i generatore.

 

Attaccamento

Uno dei primi e cruciali compiti che un bambino si trova ad affrontare, da un punto di vista relazionale, è formare un legame di attaccamento con la propria figura principale di accudimento, (caregiver, letteralmente “colui/colei che fornisce cure”).

Il legame di attaccamento viene definito come una relazione di lunga durata, emotivamente significativa, con una persona specifica (Schaffer, 1998).

Secondo lo psicologo britannico John Bowlby, padre della cosiddetta “teoria dell’attaccamento”, il bambino nasce con una ‘predisposizione biologica’ a sviluppare un attaccamento per chi si prende cura di lui: l’attaccamento avrebbe la funzione biologica di proteggere il bambino e la funzione psicologica di fornire sicurezza (Bowlby, 1983).

Numerose ricerche sottolineano il forte impatto che la qualità di questo legame ha sullo sviluppo futuro del bambino, per le sue capacità cognitive e lo sviluppo cerebrale, per la sua salute mentale e la formazione di future relazioni.

Il legame di attaccamento non si instaura solo dopo la nascita del bambino, ma comincia addirittura a formarsi ancor prima del parto e in fase perinatale.

Tra i fattori che possono contribuire alla buona qualità di tale legame, ci sono anche il desiderio e il tipo di preparazione dei genitori relativamente alla nascita del figlio, lo stato emotivo e mentale della madre durante la gravidanza, il suo livello ormonale e le modalità del parto.

Relativamente a questi ultimi due aspetti, più elevati livelli di ossitocina e un parto di tipo naturale risultano più spesso associati ad una migliore qualità dell’attaccamento (Vittner et al., 2017; Zavardhei et al., 2018).

Dopo la nascita, sono fondamentali le pratiche di accudimento e la qualità delle interazioni tra caregiver e bambino.

Lo scambio reciproco di sguardi, ad esempio, è importantissimo ed è evidente già a partire dai primi due mesi di vita del bambino: in una tipica interazione faccia a faccia, possiamo facilmente osservare il bambino che guarda la madre, la madre che risponde al suo sguardo magari aggiungendo un sorriso, il bambino che a sua volta può rispondere con un altro sorriso, e così via.

Si innesca così una sorta di danza, in cui entrambi i partner dell’interazione si muovono in sincronia e ciascuno risponde in modo armonico ai passi dell’altro (Schaffer, 1998).

La qualità del legame di attaccamento ha un impatto importante su diversi processi evolutivi.

Primo, ha una forte influenza sulla formazione dell’autostima: un bambino che si sente amato, valorizzato e considerato dal proprio caregiver è un bambino che impara a percepirsi come una persona forte e competente, degna di cure e amore (Orth, 2018).

Secondo, il legame di attaccamento ha un ruolo fondamentale sul modo in cui il bambino da adulto interagirà con il mondo esterno. 

Una buona qualità dell’attaccamento fornisce al bambino una base sicura su cui poter contare in caso di bisogno e da cui poter partire per esplorare il mondo.

Fornisce, quindi, i primi importanti strumenti con cui il bambino può iniziare a costruire la sua indipendenza.

Altri fattori spesso correlati ad una migliore qualità dell’attaccamento sono una buona regolazione emotiva, un migliore funzionamento sociale e più elevate abilità cognitive (Oldfield et al, 2015).

Altri studi, invece, mostrano come diverse forme di attaccamento insicuro siano associate a rigidità emotiva, difficoltà nelle relazioni sociali, nelle capacità attentive e nell’empatia (Troyer&Greitemeyer, 2018).

L’insicurezza nell’attaccamento, inoltre, è stato mostrato essere un fattore predisponente per l’insorgenza di alcuni disturbi psicologici, con esordio soprattutto in adolescenza, tra i quali l’ansia, la depressione, i disturbi alimentari e nei casi più gravi anche i disturbi psicotici.

Inoltre chi presenta uno stile di attaccamento disorganizzato, può sviluppare sintomi dissociativi ed essere maggiormente predisposto, in seguito ad esperienze traumatiche, alla comparsa del Disturbo da Stress Post-Traumatico.

Un ulteriore fattore strettamente correlato alla qualità dell’attaccamento è la tolleranza alle frustrazioni, allo stress e alla regolazione del tono dell’umore.

Bambini con attaccamento insicuro generalmente presentano più alti livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, e più bassi livelli di tolleranza alle frustrazioni (Luijk et al., 2010).